ULCERE ARTI INFERIORI

Per la loro prevalenza nell’ ambito della pratica clinica il discorso rimarrà essenzialmente incentrato sulle ulcere degli arti inferiori. Nell’ ambito di queste, accanto alle ulcere neurotrofiche, tipicamente localizzate al di sotto della callosità o nei punti di pressione, come la faccia plantare della prima o della quinta articolazione metatarso-falangea, solitamente indolenti e caratteristiche di diabetici di lunga data con ipoestesia irregolare, riconoscono una eziologia vascolare quelle ischemiche e quelle da stasi (c.d. “ulcera venosa “). L’ulcera di tipo ischemico causata di solito da una occlusione aterosclerotica di un grosso vaso, ma può nche insorgere a causa di una insufficienza dei piccoli vasi, come nel caso della tromboangioite obliterante (m. di Buerger) o nel caso della arteriopatia e vasculite associate al diabete .

 

La sede abituale è il dorso del piede o a livello delle dita, ma possono anche essere pretibiali. Sovente i soggetti portatori di queste ulcere hanno già avuto in passato una diagnosi di arteriopatia obliterante cronica con indice di Winsor nettamente diminuito e polsi periferici iposfigmici o non palpabili . Più raramente l’ ulcera è l’ esito di un evento acuto . Questo tipo di ulcera è caratteristicamente accompagnato da dolore che può essere diffuso a tutto l’ avampiede, si presenta anche di notte e viene alleviato dalla posizione declive dell’ arto.Man mano che si cronicizzano queste ulcere tendono a presentare dei margini sottominati, con fondo con scarso tessuto di granulazione, grigiastro, e la pulizia provoca scarso sanguinamento . La cute circostante è sovente marezzata o pallida . Possono accompagnarsi altri segni di ischemia cronica come l’ ispessimento delle unghie, l’ atrofia della cute degli annessi cutanei e del sottocute.

LE ULCERE DA STASI

Le ulcere da stasi hanno invece localizzazione preferenziale al malleolo mediale e in una zona definita “a ghetta” . I meccanismi coinvolti nel determinismo dell’ ulcera venosa sono molteplici, complessi e non ancora del tutto conosciuti.

  1. si ritiene comunemente che l’ eziopatogenesi sia riconducibile all’ ipertensione venosa che perdurando nel tempo determina un progressivo esaurimento del reflusso venoarteriolare di origine 0dilatazione, con ingorgo venulo – capillare e conseguente permeabilità capillare . La fuoriuscita dai capillari verso l’ interstizio di liquidi, fibrinogeno e macromolecole favorisce la formazione di manicotti perivascolari di fibrina (fibrin cuff ), impedendo la fisiologica diffusione di ossigeno e sostanze nutritive verso l’ interstizio ( o terzo spazio).
  2. D’ altra parte entra in gioco il rallentamento del flusso microcircolatorio che favorisce lo sviluppo di CO2, con conseguente vasodilatazione ed ingorgo venulo – capillare.
  3. Un altro fattore di importanza rilevante è svolto dai leucociti . Il peggioramento della viscosità macrocircolatoria ( dovuta alla fuoriuscita di liquidi e al rallentamento circolatorio ) determinano un intrappolamento nei microvasi , con adesione all’ endotelio ( plugging ) e formazione di tappi leucocitari.

L’ ischemia determinata dall’ intasamento leucocitario aggrava ulteriormente la permeabilità capillare e attiva l’ aggregazione piastrinica. Il risultato finale di queste complesse operazioni fisiopatologiche è la formazione di microtrombi e un generale sovvertimento dell’ assetto microcircolatorio . In questa situazione di anarchia microcircolatoria, il sommarsi di micro e macro-traumi, l’ uso di topici allergizzanti, piccole infusioni microbiche e micotiche, portano facilmente all’ ulcera cutanea . , l’ insufficienza della vena safena senza insufficienza delle vene perforanti si associa solo raramente alla formazione di ulcere (c.d. ulcere varicose superficiali ) e queste risultano in genere facilmente guaribili . Anche una insufficienza delle vene profonde senza insufficienza delle vene perforanti come causa di ulcera è condizione poco comune anche perchè molti pazienti con insufficienza venosa profonda sviluppano rapidamente insufficienza delle vene perforanti, sia perchè la trombosi responsabile della insufficienza venosa profonda danneggia anche le valvole delle vene perforanti, sia perchè l’ ipertensione delle vene profonde dilata le vene perforanti, cosicchè le loro valvole diventano secondariamente insufficienti. La situazione quindi più frequentemente associata alla ulcerazione è quella di insufficienza delle vene perforanti, che può essere associata o meno a gradi di insufficienza e/o ostruzione venosa, condizione questa ultima che determina la formazione delle ulcere venose più gravi e più resistenti al trattamento . Il dolore, se presente, è generalmente di grado moderato e trova sollievo nel sollevamento dell’ arto . E’ sovente un’ ulcera con margini irregolari, poco profonda, con fondo umido . E’ sempre circondata da una zona di dermatite da stasi . Alla manipolazione ci può essere un sanguinamento più o meno marcato. Vi possono essere altri sintomi e segni legati all’ insufficienza venosa cronica, come edema, dermatite con pigmentazione cutanea, varici venose . Le due condizioni, ISCHEMICA e DA STASI, possono coesistere e concorrere entrambe alla formazione di ulcere, solitamente localizzate alla caviglia, soprattutto nei soggetti anziani . In questi casi sono i segni della componente venosa quelli più immediatamente presenti, mentre quelli di natura ischemica vanno attentamente ricercati con l’ esame dei polsi ed eventuale indagine doppler . Accanto a quelle descritte sopra, che di per sè coprono il 95 % delle ulcere di gamba, vi sono casi generalmente difficilmente classificabili, tranne nel caso dell’ ULCERA DA VASCULITE, ulcere associate a artrite reumatoide o ad altra patologia del collageno, l’ ULCERA IPERTENSIVA e l’ ULCERA LUETICA. Inoltre è da segnalare che le ulcere di vecchia data, resistenti alla terapia, possono essere espressione di una sottostante osteomielite od essere espressione di una lesione tumorale secondaria . Ancora è da tenere presente che ulcere di gamba possono essere espresione di FISTOLE ARTERO-VENOSE, con quadro di dilatazione delle vene superficiali che, a differenza semplici varici, sono pulsanti.

Il bendaggio

Nonostante i progressi e i perfezionamenti raggiunti nel trattamento medico e chirurgico dell’insufficienza venosa, la terapia compressiva continua ad essere alla base della cura della patologia venosa. Vi sono diversi tipi di terapie compressive che non sono tra loro in alternativa, ma che vengono utilizzate nei diversi momenti terapeutici. Non è lo stesso per quanto riguarda le singole tecniche di bendaggio. Molte tecniche offrono gli stessi vantaggi. La scelta della tecnica è determinata dalle condizioni anatomiche, dalle dimensioni dell’edema e dall’esperienza personale. Bendare è una pratica antica ed il bendaggio è una tecnica precisa che può immobilizzare , proteggere , drenare . L’elastocompressione è un’arte ed una scienza che richiede abilità, un’appropriata formazione ed una supervisione nella fase iniziale. Ogni bendaggio esercita una pressione al suo interno, diretta verso il centro. Nel trattamento della stasi questa pressione viene usata con un duplice scopo: ridurre il ristagno di liquidi a livello extravasale ed aumentare la velocità di flusso a livello venoso. Entrambe queste condizioni concorrono a ridurre l’edema.

Fisiologia della circolazione venosa ed elastocompressione

Il flusso venoso in ortostatismo avviene contro la forza di gravità e non dispone di un vero propulsore, come nel caso del sistema arterioso. Il flusso è di tipo laminare e trova minor attrito in vasi di forma ellittica . Il bendaggio tende ad ovalizzare le vene superficiali, comprimendole contro gli strati muscolari profondi a maggior densità . In questo modo consente il raggiungimento di un’ottimizzazione del flusso. Inoltre il flusso venoso ,in condizioni fisiologiche , è monodirezionale in senso centripeto e dalla superficie alla profondità: ciò è garantito dalle valvole a nido di rondine presenti nelle vene. Tuttavia patologie a carico del sistema venoso possono distruggere tali valvole rendendo bidirezionale il flusso. Un bendaggio ben eseguito determina un gradiente di pressione in senso centripeto ; questo a sua volta produce nel fluido venoso unidirezionalità e di conseguenza riequilibrio. Quindi il bendaggio è un supporto artificiale esterno che favorisce il ritorno venoso ed è applicabile sia ai soggetti a rischio di insufficienza venosa ,sia a coloro che l’abbiano già manifestata.

Scopi dell ' elastocompressione

Esercitare una pressione dosata sui tessuti e sulle vene ,in rapporto alla capacità che l’individuo ha di deambulare.
Controllare l’edema.
Contrastare gli effetti negativi dell’ipertensione venosa persistente.
Migliorare l’ossigenazione e l’apporto nutrizionale dei tessuti.

Effetti dell'elastocompressione sul macrocircolo

· Riduzione del calibro delle vene superficiali e profonde
· Riduzione dei reflussi patologici superficiali e profondi
· Riduzione del volume ematico
· Miglioramento della pompa muscolare
· Riduzione delle pressioni deambulatorie
· Accelerazione del trasporto linfatico
· Aumento della fibrinolisi
· Incremento dell’elasticità della parete venosa

Effetti sul microcircolo

· Diminuzione dell’ectasia capillare
· Blocca l’inspessimento della membrana basale
· Diminuzione dell’edema interstiziale
· Miglioramento delle condizioni fisico – chimiche interstiziali
· Diminuzione della pressione endolinfatica
· Aumento della velocità di flusso nei capillari

Teoria dell'elastocompressione

Ogni bendaggio esercita una pressione che può essere calcolata applicando la legge di Laplace ,la quale afferma come la pressione sia direttamente proporzionale alla tensione e inversamente proporzionale al raggio. Pressione = tensione (diviso) Raggio Dunque si tratta di una pressione che agisce in direzione concentrica. La legge di Laplace può fornire utili indicazioni (ad esempio maggiore è il diametro dell’arto, minore è la pressione) ma non tiene conto delle variabili che il bendaggio presenta. La formula di Laplace modificata ,invece , afferma come la pressione sia direttamente proporzionale alla tensione ,alla forza dell’operatore ,al tipo di benda e al numero di strati di benda applicati; al contrario risulta inversamente proporzionale al raggio dell’arto all’altezza della benda e alla densità dei tessuti Pressione =tensione x operatore x tipo di benda x numero di strati Raggio x altezza della benda x densità dei tessuti Bendando occorre esercitare una pressione di almeno 20-30 mmHg alla caviglia, decrescente verso il ginocchio. Tuttavia il valore teorico della pressione necessaria deve sempre essere rapportato alla compliance del paziente.

Azione del bendaggio compressivo

I bendaggi possono essere distinti in base al tipo di pressione esercitata oppure alla modalità del lavoro che essi compiono. Possono svolgere una pressione di riposo :questa pressione agisce quando l’arto è a riposo, con conseguente diminuzione del tono muscolare. E’ determinata dalla memoria elastica della benda: più estensibile è la benda, maggiore è la pressione di riposo. La pressione di lavoro è la pressione che si esercita durante la contrazione muscolare. Questa pressione è determinata dalla compressione che si esercita fra il muscolo e la benda :il muscolo, per contrarsi, aumenta il diametro e quindi occupa spazio; il bendaggio può determinare lo spostamento di questo spazio all’interno dell’arto, agendo quindi come una pompa. Meno estensibile è la benda ,più elevata è la pressione di lavoro. Queste due pressioni dipendono quindi dalle caratteristiche delle bende che vengono impiegate. Il bendaggio compressivo è sempre da sconsigliare in caso di insufficienza cardiaca congestizia in fase di scompenso. In ogni caso prima di eseguire elastocompressione è necessario escludere la presenza di malattie arteriose. A questo scopo può risultare utile l’utilizzo dell’ultrasuono doppler.

Diagnostica vascolare

Allo stato attuale le tecniche diagnostiche per lo studio del circolo venoso sono numerose. Le più comunemente usate sono il doppler ad onda continua ,l’ ecodoppler, l’ecocolordoppler e l’arteriografia. E’ possibile, utilizzando un apparecchio doppler ad onda continua ,ricercare l’indice caviglia braccio (o indice ABI) e sapere se il paziente può essere bendato o deve essere inviato al chirurgo vascolare. Quindi è uno strumento non per fare diagnosi, ma per escludere la patologia arteriosa , utilizzando in modo appropriato la tecnica dell’elastocompressione ,efficace più della medicazione topica nel 70% delle lesioni vascolari. Il doppler ad onda continua, nel quale l’immissione degli ultasuoni avviene continuamente ,può essere unidirezionale oppure bidirezionale a seconda che sia in grado di analizzare solo la presenza di flusso all’interno del vaso oppure anche rilevare se il flusso è diretto verso la sonda o se ne allontana. La sonda da utilizzare deve essere da 8 a 10 MHz. L’interpretazione dell’esame si basa sul reperto acustico. Il doppler ci permette di verificare la presenza di polsi arteriosi in arti edematosi ,dove la loro palpazione risulta impossibile. E’ quindi possibile evidenziare la concomitanza di arteriopatia nelle lesioni degli arti inferiori .Per escludere un’arteriopatia obliterante è possibile eseguire la rilevazione dell’indice ABI: dopo aver posto il paziente supino ,averlo fatto riposare per circa 20 minuti ed aver rimosso le medicazioni dalle ulcere (si proteggono solo con film di poliuretano) ,l’operatore metterà successivamente uno sfigmomanometro al braccio e alla caviglia del paziente. Con il doppler si reperiranno i segnali a livello omerale e tibiale (o pedideo) : si gonfierà il manicotto oltre il valore che determini la scomparsa del segnale ,quindi si procederà a lento sgonfiaggio del manicotto fino alla ricomparsa del segnale doppler che indica puntualmente il rilievo pressorio nei due distretti (pressione massima) .La rilevazione dovrà essere effettuata a tutti e due gli arti inferiori e superiori e verrà scelto il valore pressorio più alto sia per la brachiale che per la tibiale. Si effettuerà infine il rapporto tra i due valori pressori (pressione caviglia pressione braccio)
1.0 – 1.3 valore normale :si può effettuare elastocompressione
0.8 – 1.0 patologia arteriosa :compressione con prudenza
0.5 – 0.8 patologia arteriosa : controindicata la compressione
inf. 0.5 stenosi arteriosa severa :no compressione. Contattare con urgenza chirurgo vascolare
Ø 1.3 contattare con urgenza lo specialista vascolare.

Fattori influenzati l'ABI

· Inadeguata temperatura della stanza
· Paziente e/o esaminatori non rilassati
· Inadeguato gel
· Scorretta posizione del paziente
· Inappropriata sonda doppler
· Pressione eccessiva della sonda sul vaso
· Sgonfiaggio troppo rapido del manicotto
· Spostamento della sonda doppler durante l’esame
· Inesperienza dell’operatore

La rilevazione dell’indice ABI è sconsigliata in pazienti con trombosi venosa profonda.